venerdì 9 agosto 2013

passage à l'acte | martin arnold

L'opera di video sampling dell'austriaco Martin Arnold allenta e détourna singoli fotogrammi di vecchi film hollywoodiani in loop estenuanti, costringendo frames interstiziali ed anodini ad una danza ripetitiva e spastica, come a rovesciare con sarcasmo la definizione hitchcockiana del cinema come “vita senza tempi morti”. Le figure fibrillano stolide, oscillano balbettanti, sconvolte da tic inarrestabili, ingabbiate nel (falso) movimento compulsivo, zenoniano, tantalico. L'incedere nevrotico libera l'inconscio dell'immagine, decostruisce i codici del cinema classico, lasciando sgorgare quel che di represso s'annidava nelle crepe della norma. Così in Passage à l'acte, dove l'ossessivo looping di atti mancati (digitalizzatosi a partire da Andy Hardy) infesta un tradizionale quadretto familiare (asportato da Il buio oltre siepe) per evidenziarne le tensioni represse, i conflitti segreti, l'aggressività latente.



The cinema of Hollywood is a cinema of exclusion, reduction, and denial, a cinema of repression. In consequence we should not only consider what is shown, but also that which is not shown. There is always something behind that which is being represented, which was not represented. And it is exactly that that is most interesting to consider.